L’equanimità nel buddismo è considerata un sentimento assai rilevante, per i tibetani in particolare. Assieme ad amore, compassione e gioia, è uno dei quattro incommensurabili. Rappresenta in generale un atteggiamento di equidistanza dai poli della dualità bene-male e si manifesta attraverso un sentire scevro sia da attaccamento che da avversione. Qualcuno, con altre parole, la definì centratura. Una qualità basilare per un ricercatore ed anche una sorta di competenza trasversale, che può aprire a scenari caratterizzati da più profonde ed armoniche possibilità esperienziali. In quest’ottica, la si può anche intendere come un fedele indicatore dello stato di avanzamento del lavoro su di sé. Nel vissuto non è un sentimento che si possa improvvisare, soprattutto quando le sollecitazioni esterne si fanno significative e dunque l’essere umano, nei momenti di difficoltà apicali, non potrà che esprimere ciò che realmente è, e ciò che ha veramente realizzato. In questo breve scritto, partendo da un aneddoto, offro qualche spunto di riflessione, per focalizzare alcune strategie volte a sviluppare tale qualità interiore.