Solitamente si presume, e si dà per scontato, che la realtà sia completamente contenuta nello spazio. Tuttavia, quando osserviamo da vicino lo strano comportamento delle entità del micromondo, siamo costretti ad abbandonare tale pregiudizio e riconoscere che lo spazio è solo una momentanea cristallizzazione di un piccolo teatro per la realtà, dove le entità materiali possono prendere posto e incontrarsi. Più precisamente, fenomeni come l’entanglement quantistico, gli effetti di interferenza quantistica e l’indistinguibilità quantistica, se analizzati attentamente, ci indicano che nella nostra realtà fisica c’è molto di più di ciò che sono in grado di scorgere i nostri occhi umani tridimensionali. Ma se gli elementi costitutivi della nostra realtà fisica sono non-spaziali, che cosa significa? Possiamo comprendere qual è la natura di un’entità non-spaziale? E se sì, quali sono le conseguenze per la nostra visione del mondo in cui viviamo e ci evolviamo come specie? Questo articolo è stato scritto in considerazione di uno degli obiettivi del Center Leo Apostel for Interdisciplinary Studies, quello di un’ampia diffusione della conoscenza scientifica. Pertanto, si rivolge a un pubblico trasversale di lettori, sia accademici che non accademici, sperando di stimolare in questo modo il dialogo interdisciplinare sulle questioni fondamentali della scienza.
Come possiamo spiegare lo strano comportamento delle entità quantistiche e relativistiche? Perché si comportano in modi che sfidano la nostra intuizione su come le entità fisiche si dovrebbero comportare, se consideriamo la nostra esperienza ordinaria del mondo che ci circonda? In questo articolo, affrontiamo queste domande mostrando che il comportamento delle entità quantistiche e relativistiche non è poi così strano, se solo teniamo in considerazione quale possa essere la loro vera natura: non oggettuale, ma concettuale. Questo non nel senso che le entità quantistiche e relativistiche sarebbero dei concetti umani, ma nel senso che con-dividerebbero con quest’ultimi la medesima natura concettuale, analogamente a come le onde elettromagnetiche e sonore, sebbene entità molto differenti, condividono una medesima natura ondulatoria. Quando questa ipotesi viene avvalorata, cioè quando un’interpretazione concettualistica della natura profonda delle entità fisiche viene presa seriamente, molte delle difficoltà interpretative scompaiono e il nostro mondo fisico torna nuovamente ad avere un senso, sebbene la nostra visione dello stesso muti radicalmente rispetto a quanto il nostro pregiudizio classico ci avrebbe fatto inizialmente credere.
Molti sostenitori dell’interpretazione di Everett-DeWitt ritengo-no che il loro approccio sia l’unico a prendere la meccanica quantistica davvero sul serio, e che tale approccio consente di dedurre uno scenario fantastico per la nostra realtà, che contempla un numero infinito di mondi paralleli che si diramano in continuazione. In questo testo, scritto in forma di dialogo, si suggerisce che la meccanica quantistica possa essere presa ancora più seria-mente, se l’interpretazione a molti mondi viene sostituita da un’interpretazione a molte misure. Ciò permette non solo di deriva-re la regola Born (che consente di determinare le probabilità dei diversi processi fisici), risolvendo così il famoso problema della misura, ma altresì di dedurre l’esistenza una realtà non-spaziale, a un solo mondo, che costituisce uno scenario ancora più fantastico di quello del multiverso.