Chi non ha già sentito parlare di “transizione energetica”, cioè del passaggio imminente dall’utilizzo di un mix di fonti energetiche centrate sui combustibili fossili, caratterizzate da forti emissioni di gas a effetto serra, a un mix di fonti energetiche dette di sostituzione, senza emissioni di gas a effetto serra, come la CO2? D’altra parte, storicamente, nessuna sostituzione energetica è mai realmente avvenuta. Se questo è vero, come è vero, quello che stiamo cercando di fare è qualcosa di totalmente nuovo e si pone allora una domanda: “È davvero possibile farlo? È tecnicamente possibile, per le nostre società termo-industriali, una transizione che veda l’abbandono delle fonti energetiche centrate sui combustibili fossili, in tempi sufficientemente brevi, senza gravare ulteriormente sul bilancio planetario di gas a effetto serra?”. Scopo di questo breve scritto è rispondere a questa domanda, esponendo il punto di vista critico portato avanti recentemente da Vincent Mignerot, nel suo libro L’énergie du déni (l’energia del diniego).
Ad oggi non esiste alcuna dimostrazione della fattibilità della transizione energetica. Il dibattito sull’affrancamento delle nostre società termoindustriali dalla dipendenza dagli idrocarburi si articola, infatti, unicamente intorno a modelli, scenari e osservazioni relativi a dei sottosistemi dell’industria globalizzata della "produzione" di energia. Nel 2022, lo sviluppo delle cosiddette energie di sostituzione (principalmente turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e centrali nucleari) non è stato ancora in grado di rallentare lo sfruttamento dei combustibili fossili. La "simbiosi" delle diverse energie, anziché la loro sostituzione, rimane al momento la norma, e la tentazione è grande di semplicemente affermare che le simulazioni sono al momento ancora imprecise, che le misurazioni sono incomplete, mantenendo così la speranza che la ricerca e il progresso riusciranno ad allargare il campo delle possibilità.
Sulla scia del movimento per lo "sviluppo sostenibile", la crescita verde, presentata dai suoi promotori come soluzione universale alla crisi ecologica, è diventata in pochi anni un elemento chiave nei discorsi dei governi e nella letteratura istituzionale, dall’OCSE alla Banca Mondiale, passando per le Nazioni Unite e fino alla legislazione francese. Questa rapida e consensuale appropriazione del concetto da parte degli attori istituzionali, e la sua favorevole accoglienza da parte della comunità imprenditoriale, richiedono tuttavia un esame più attento. Infatti, se ogni trasformazione politica implica una rimessa in questione degli interessi consolidati, quindi una conflittualità sociale, quale innovazione concettuale potrà mai proporre la crescita verde per essere così ampiamente sostenuta dall’establishment?
Dal 2018, il mondo è afflitto da un sordo senso di inquietudine. Senza molti giri di parole, i rapporti dell’IPPC (sul riscaldamento globale) e dell’IPBES (sull’estinzione globale degli organismi viventi) ci hanno avvertito che il peggio deve ancora arrivare. Inoltre, non si contano più i libri che, compilando in modo transdisciplinare le diverse allerte scientifiche, hanno dimostrato, con abbondanza di argomenti, uno più realistico dell’altro, che l’umanità si sta avviando al suicidio, nel XXI secolo.
Yoichi Kaya era un economista giapponese, studioso di politiche energetiche. In questo articolo vi parlo della sua famosa equazione, o identità, che scrisse circa una trentina d’anni fa. L’equazione è molto semplice da derivare, cosa che faremo assieme. Non permette, ovviamente, di risolvere i problemi climatici, ma aiuta a mettere meglio a fuoco le sfide che dobbiamo affrontare, mettendo in evidenza le grandezze fondamentali su cui possiamo operare. Ispirandomi a un’analisi di Cédric Ringenbach, vi mostrerò anche com’è possibile raffinare l’equazione di Kaya, prendendo in considerazione la questione fondamentale degli sprechi, che abbiamo interesse a ridurre in modo sostanziale se vogliamo riuscire a modificare il nostro portafoglio energetico, passando a fonti con minore emissione di gas a effetto serra.
Nelle pagine che seguono riporto una conversazione che ho avuto con ChatGPT, il 17 maggio 2023, sul tema della transizione energetica. ChatGPT è un software basato su intelligenza artificiale e apprendimento automatico, sviluppato da OpenAI, specializzato nella conversazione con gli utenti umani. Come vedrete, molte delle riflessioni presentate dalla chatbot sono generiche, e spesso ripetitive. D’altra parte, questa conversazione permette di comprendere parte del “pensiero collettivo” sul tema della transizione. In particolare, è interessante osservare come ChatGPT riconosca che i modelli di transizione energetica si basino su tecnologie ancora in fase di sviluppo e sperimentazione, cioè che sia in atto una scommessa. Nondimeno, non sembra favorire l’idea di una riduzione dei consumi, non in prima battuta se non altro. Confrontata su questo punto, diventa in seguito leggermente più ragionevole, riconoscendo l’importanza di lavorare su più fronti e che una riduzione dei consumi non necessariamente implichi una riduzione della qualità della vita, poiché molte delle nostre attività consumistiche non portano necessariamente a una maggiore felicità o soddisfazione, ma semmai il contrario.
È da un po’ che desideravo scrivere qualcosa sui Villaggi Sovrani, una proposta alquanto singolare partorita numerosi lustri fa da Giovanni Sassoli de Bianchi, alias mio padre, classe 1933, e questo volume di AutoRicerca, dedicato a tematiche ambientali, alla decrescita e al rischio di collasso della nostra società globale, mi sembrava l’occasione perfetta per presentare alcune delle idee direttrici della sua visione.